La strada sale
rigando i fianchi della montagna. Il gelo rende
l'aria immobile,
tutto sembra senza tempo, anche i rami stecchiti che
graffiano un cielo bianco.
Sta per nevicare, lo sento nelle ossa.
Da quanti anni manco da questi posti? Almeno cinque,
l'ultima volta è stata
pochi giorni dopo la morte di papà. Allora avevo
deciso di salire alla sua vecchia
baita per sentirlo più forte dentro di me. Lì, anche
i muri di pietra mi parlavano
di lui, delle sue fatiche per riparare quel bene di
famiglia.
Un gran vento si era portato via il tetto e mio
padre, assieme ad Anselmo,
un muratore appassionato come lui di montagna, aveva
deciso di rimettere tutto
a posto. Poi ci aveva preso gusto e con i lavori si
era spinto oltre, voleva che la
casa dei suoi vecchi diventasse più comoda,
soprattutto pensando ai nipoti.
Sapeva che non gli avrei mai dato la soddisfazione
di farmi vedere spesso
da queste parti, trovavo sempre un buon motivo per
scansare i suoi sempre più
deboli inviti: il lavoro, i figli, la casa, le
vacanze, o anche solo la stanchezza del
mio intenso vivere. Gliela sbandieravo con fierezza
per ricordargli che la vita
attiva non può avere i ritmi lenti di chi ha deciso
di invecchiare fra i boschi.
I suoi silenzi erano risposte dolci, senza
rimproveri; sapevano di paziente
attesa, come se in essi fosse già racchiusa la
certezza che, prima o poi, avrei
cambiato atteggiamento.
Anselmo mi attende seduto sulla pietra da dove papà
contemplava il suo
paradiso. Gli ho chiesto di mostrarmi i meccanismi
che mettono in funzione la
casa: bisogna aprire le manopole dell'acqua e della
corrente elettrica, io non so
dove trovarle. Appena mi vede, Anselmo si alza in
piedi:
«Buongiorno, come sta? È da un pezzo che non ci
vediamo!»
«Buongiorno Anselmo, la vedo sempre in forma,
complimenti.»
«Si fa quello che si può, gli anni passano...
Allora, ha deciso di trascorrere
il Natale qua!? Il povero papà ne sarebbe contento.»
«Già, peccato non poterlo abbracciare... ma là
dentro, tra le sue cose, sarà
un po' come farlo.»
Anselmo sorride annuendo. Gli porgo le chiavi e lui
apre con sicurezza
una delle due porte di accesso, poi si fa da parte e
mi invita a entrare. Polvere e
ragnatele ovunque, ma la casa ha retto bene. Ricordo
che papà diceva: “Le case
come questa sono sempre assediate da ospiti che ci
vogliono entrare. Animali,
alberi, insetti, funghi, lumache... tutti aspettano
che si apra un varco. Acqua,
gelo e vento poi, sono felici di dare una mano agli
invasori”. Con questo mi
voleva dire che senza manutenzione una casa è
destinata a crollare e che, dopo
di lui, ci avrei dovuto pensare io.
Dopo una rapida ispezione Anselmo esclama:
«Tutto in perfetto ordine, la casa è stata fatta
bene, basta ripulirla un po'.»
Il termometro appeso in cucina segna cinque gradi,
solo qualcuno in più
rispetto all'esterno. Anselmo mi spiega la
dislocazione degli impianti e risponde
con pazienza alle mie domande da incompetente, poi
si offre di accendermi la
stufa e il caminetto. Lo seguo in legnaia dove lui
riempie una cesta di pezzi di
varie misure, infine afferra un fascio di rametti
dicendo:
«Sono talmente secchi che bruceranno come
fiammiferi.»
Non vuole che l'aiuti, dice che sono lavori da
uomini.
Rientriamo, e mentre io inizio a spazzare la casa,
lui accende la stufa di
maiolica che qua dentro credo abbia lavorato
parecchio, ma mi spiega che di
quella robustezza non ne fanno più. Quando inizia a
diffondersi un piacevole
tepore, Anselmo passa al caminetto, ma appena aperto
lo sportello di vetro si
ferma a scrutare l'interno: tre pacifici ghiri in
letargo hanno scelto di superare
l'inverno nella più improbabile delle tane. Con una
paletta, Anselmo li solleva
delicatamente e me li mostra:
«Sono belli vero? Ha
visto che coda pelosa?»
Così dicendo, si dirige verso la legnaia a cercare
un posto dove infilarli:
«Devono stare al riparo, o non sopravviveranno», mi
dice preoccupato.
Appena individuata una grossa fessura tra i ceppi
impilati, con garbo vi
spinge dentro le tre creature ancora addormentate.
Poi, con uno straccio, chiude
l'ingresso della nuova casetta e sentenzia:
«Lì
dentro staranno al sicuro.»
Incomincio a sentire l'armonia del luogo, è fatta di
sensazioni sedimentate
negli strati ancestrali dell'anima. Ora, la fiamma
del caminetto brucia impetuosa
mandando in giro bagliori che “fanno casa”. Anselmo
ha finito e, dopo essersi
guardato attorno, mi dice:
«Signora Clara la saluto, devo andare. È sicura di
voler restare? Mia
moglie, da sola, non ci starebbe neanche un minuto
in un posto così.»
«Certo che ci voglio restare! Nello zaino ho portato
le provviste e ora so
pure come funzionano gli impianti. E poi mi faranno
compagnia i tre ghiri.»
«Nei prossimi giorni farò un salto qua per vedere
come va. Vorrei anche
montare una rete metallica attorno al comignolo, è
da lì che sono passati.»
«Ah certo, mi farà piacere.» Ci salutiamo con una
stretta di mano.
«Buon Natale, è stato bello rivederci», aggiunge
Anselmo.
«Anche per me. Buon Natale anche a lei... e grazie
di tutto.»
Poi lui, per
tranquillizzarmi, ci tiene a dirmi:
«E non si spaventi per i rumori, qui è un continuo
scricchiolio. Travi e
pavimenti si deformano di continuo, è come se
cantassero la loro canzone.»
Richiudo l'uscio e mi siedo davanti al caminetto.
Ora posso calarmi del
tutto nell'ambiente, sentirne gli odori, riguardare
gli oggetti sparsi in giro. In un
angolo vedo la chitarra di papà, chissà che il
vecchio strumento non decida di
mettersi a suonare per accompagnare la canzone dei
legni di questa baita.
Guardo fuori e mi sento protetta. Farò tornare tutto
splendente e poi mi
metterò a cucinare. Mi piace restare sola tra queste
mura, è una solitudine piena
di compagnia. Penso ai miei bambini in vacanza col
loro papà: si divertiranno?
Quando erano partiti non avevano preso molto bene
l'idea di trascorrere le feste
senza di me. Ma io avevo bisogno di un Natale che
desse spazio ai ricordi, o
forse continuasse la mia lunga serie di occasioni
mancate.
Sta nevicando, butto un ciocco nel fuoco, e resto a
guardare.
Enrico Ferrero (Biella)
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